Il termine dialogo mette a disagio, perché nel momento in cui lo si vuole attuare è necessario chiarirne il significato e definire sia il termine che i termini del dialogo stesso. Questo forse è tipico dei sistemi assoluti in cui il dialogo può rischiare di ridursi solo a un mezzo di relazione con un altro sistema assoluto ed il cui assunto che lo può permettere è il principio d’inviolabilità della propria fede o della propria cultura. In questo caso il dialogo è asservito alla conoscenza ed al rispetto di sé e dell’altro, non a porre entrambi in una situazione di criticità che li possa far evolvere ad uno stadio successivo. Quando il dialogo riguarda le religioni invece di essere vitalizzante rischia di diventare mortificante; perché per principio il dialogo richiede la tolleranza in senso positivo ed attivo, cioè non come sopportazione dell’esistenza dei punti di vista altrui, ma come riconoscimento della loro pari legittimità e come volontà di intenderli nelle loro ragioni più profonde. Ciò pone in collisione sistemi religiosi assoluti che comprendono se stessi come l’unica, l’ultima o la più alta forma inviolabile di “religione”. Ecco che la necessità culturale al dialogo tenta di definire questo in modo che diventi “innocuo”.

I cristiani hanno ampiamente contribuito alla costruzione della società industrializzata europea nella quale oggi vivono come componente maggioritaria in società europee multietniche e plurireligiose dopo aver attraversato un lungo processo di secolarizzazione e di laicizzazione. Essi conoscono le strutture e i ritmi di questa società e ne ravvisano alcuni aspetti positivi molto importanti e dai quali ritengono non bisogna tornare indietro. Sostengono la positività del pluralismo religioso e culturale in uno Stato laico, difendono la libertà dell'individuo e lottano per la giustizia sociale. Una fascia rilevante che proviene dall’immigrazione invece intende mantenere anche in Europa alcuni principi "forti" della propria società di origine, di condurre una vita conforme alle proprie tradizioni, di mantenere e di testimoniare la loro convinzione religiosa.

Il futuro pone domande non facili sia agli europei “autoctoni” che alla nuova componente della popolazione europea, entrambi in fase di riflessione sulla costruzione della società moderna. Tutti sono chiamati a ripensare il proprio progetto collettivo di società: si tratta di chiarire innanzitutto se le democrazie dell’Europa occidentale possiedono ancora i valori necessari per includere tale presenza “nuova” in una pluralità armoniosa di appartenenze e mantengono la forza indispensabile per progettare le tappe e le istituzioni che dovranno seguire questo processo. Quanto al discorso religioso, la preoccupazione è che anziché di laicità le società occidentali si stanno muovendo verso un laicismo scheletrizzato prodotto dal liberalismo contemporaneo. Escludere dalla sfera pubblica la religione significherebbe privare la società secolare d’importanti risorse nella fondazione di senso (J, Haberass). Come aveva visto il filosofo statunitense John Rawls, nella modernità lo Stato si è laicizzato, ma la società no!

Nel percorso di integrazione ai nuovi europei spetta un compito non facile: riuscire a pensarsi europei senza sacrificare la propria identità di origine; in poche parole cosa includere della cultura europea in quella della cultura d’origine. Non è una missione impossibile. Ma questo compito esige la capacità di progettare e formulare le proprie richieste in termini che possano essere compresi e accettati da una comunità sociale includente. Ciò richiede un processo cooperativo di traduzione, tra “laici” e “credenti”, che si mostri in grado di salvaguardare la forza etica e le risorse di senso proposte nelle istanze della religione.

Il dialogo è un processo che pone diverse “entità” in dialettica. Bisogna chiedersi, pertanto, quale sia l’istanza fondamentale o le varie istanze (etica, politica, sociale, religiosa, culturale o contingente) che ha o che hanno suscitato il dialogo. L’uomo, la società, la cultura, la religione sono latori di diverse istanze compresenti, ma in ognuna di esse c’è un obiettivo di fondo specifico. Trovato il principio che suscita il dialogo bisogna poi sapere il fine verso cui tende. 

Il secolarismo anticlericale del passato che intendeva giustamente combattere i privilegi politici della Chiesa, ancora legata al vecchio regime, ha ceduto il posto al secolarismo istituzionale della democrazia multiculturale che oggi rappresenta la condizione pregiudiziale per il confronto dialettico di tutte le istanze presenti nella società, ivi compreso il confronto e l’approfondimento delle identità religiose. All’interno di esse anche quelle componenti che, senza chiudersi alla modernità, attingono ancora ad una sorgente premoderna d’identità, sono chiamate a dibattere in pubblico il senso della modernità e della democrazia. Non siamo più ai tempi di Peppone e don Camillo: oggi è cambiato il senso del laicismo così com’è cambiato il modo di credere. Viviamo processi di cambiamenti.

Un rapporto di reciproca attenzione tra laici, credenti e credenti laici arricchisce sicuramente tutti, ma è un processo che richiede tempo, pazienza, costanza e civiltà. È un processo che richiede una fase preliminare che potremmo definire “terapeutica”: una fase in cui la civiltà occidentale e quella di altri continenti devono cercare di guarire dalle ferite che si sono inflitte nella storia e nella religione. Allo stesso tempo non si devono portare nelle società di accoglienza i conflitti etnici, politici o religiosi delle comunità di provenienza. Ci si dovrà liberare dagli stereotipi e dalla superficialità: la differenza tra conservatori e progressisti, tra oppressori e oppressi, tra adepti della violenza e partigiani della libertà e della democrazia, non corrisponde alla differenza tra mondo occidentale e il resto del mondo, ma sono fratture all’interno delle società e dei processi di pensiero che si dibattono e combattono nelle rispettive società. 

I “nuovi europei” sono chiamati a riflettere sulla propria identità culturale, politica e religiosa. I “vecchi europei” devono essere preparati ai cambiamenti ai quali va incontro la società da loro costruita e per la quale i padri hanno versato il sangue e raggiunto traguardi irrinunciabili. Il cammino sembra lungo, ma ogni passo fatto insieme va verso la sua meta: una società dignitosa e degna in cui tutti vi si sentono parte attiva.