La lotta di Giacobbe
Genesi 32, 25-32
Quella notte Giacobbe si alzò, prese le sue mogli, le due serve, i suoi undici figli e passò il guado (detto) di Giabboche (il lottatore). Li prese, fece loro attraversare il torrente e poi lo fece attraversare a tutti suoi armenti.
Giacobbe volle restare solo, quella notte, ma ci fu una persona che lottò con lui fino all’alba. Quando quella persona vide che non poteva vincerlo colpì Giacobbe nell’articolazione del femore che si slogò mentre rotolavano per terra. Poi quello gli disse:
- Adesso lasciami andare perché è già l’alba,
- Io non ti lascerò andare - rispose Giacobbe- se tu prima non mi benedici.
Quella persona gli chiese:
- Come ti chiami?,
- Giacobbe! - fu la risposta.
E l’altro riprese a dire:
- Tu non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele; perché tu hai lottato con tutte le tue forze e hai vinto».
Giacobbe allora gli chiese:
- Ti prego, dimmi adesso chi sei,
- Non hai capito ancora chi sono? - gli rispose quel personaggio.
E lo benedisse proprio in quel luogo che Giacobbe battezzò Peniel, che vuol dire “In faccia a Dio”, «Perché- raccontò –Sono stato faccia a faccia con Dio, e mi ha lasciato in vita».
Il sole stava sorgendo, quando Giacobbe lasciò Peniel, ed egli zoppicava dall’anca. E’ per questo motivo, che gli ebrei - ancora oggi - non mangiano il muscolo della coscia che è nell’articolazione del femore, dove Giacobbe era stato colpito nella lotta.
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Anche qui la Bibbia ci mostra un Dio debole che si fa vincere, come accadrà sul calvario. Certo! A noi oggi riesce difficile immaginarci Dio in un corpo a corpo con l’uomo. Eppure non è fantasia, questo corpo a corpo tra Dio e noi avviene quasi quotidianamente:... una lotta in cui spesso Dio ne esce fuori malconcio. Ci sono luoghi e situazioni propizi, dove ci sentiamo provocati da Dio e dove lo attacchiamo.
Uno di questi luoghi èil silenzio di Dio!
Cosa aveva da dire Dio ad Auschwitz e nei campi di sterminio nazisti? Cosa ha da dire Dio davanti a migliaia di bambini e di persone innocenti maciullati dalle tante guerre e conflitti sparsi per il o davanti alle grandi tragedie in cui muoiono a centinaia di migliaia degli esseri umani innocenti... per fame, per soprusi, per malattia. Cosa ha da dire Dio davanti alle tragedie personali che hanno lacerato irrimediabilmente la nostra anima?
Il suo silenzio ci provoca e noi lo affrontiamo per abbatterlo, perché ci sono situazioni in cui ci riesce veramente difficile (con tutta la buona volontà!) credere al suo amore, alla sua misericordia ed alla sua forza.
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Durante la Seconda Guerra mondiale, un gruppo di rabbini, in un campo di sterminio nazista, indisse un processo contro Dio. Con molta serietà e con molta obiettività (di quella obiettività di cui si è capaci in quei tragici momenti) valutarono ogni cosa e dopo lunghi mesi di discussione, di accuse di difese e di accorate arringhe emisero il verdetto: Dio fu condannato! Quanti di noi avremmo votato a favore di Dio nel vedere i nostri bambini portati nudi verso le camere a gas?
E’ vero! Vi sono situazioni in cui ci sentiamo provocati da Dio e che rendono inevitabile una lotta con lui... un corpo a corpo. La sofferenza, il fallimento, la morte... sono circostanze in cui difficilmente potremo evitare il confronto con la questione di Dio!
A questo punto, trovandoci tutti (o prima o dopo) in queste situazioni, sono possibili due atteggiamenti. Il primo è di evitare il confronto diretto con Dio, evitare la lotta, chiudersi al confronto della fede lasciando che il dubbio scavi dentro di noi solchi profondi che possono portare ad una fede formale, finta. Allora ci si limita alle accuse verbali o silenziose contro Dio rifiutandosi di affrontare di petto la grande tentazione di lasciare Dio fuori dalla nostra vita.
Il secondo atteggiamento possibile è invece quello di affrontare Dio fino a strappargli la benedizione e vedersi, alla fine della lotta, profondamente cambiati non esteriormente, ma nel profondo del proprio essere. Dio non cambiò nome a Giacobbe, semplicemente, cambiò Giacobbe, che da quel giorno fu un’altra persona... che da quel giorno vide la vita come nuova, come altra.
Questa rinascita è il risultato di un’intensa lotta!
Essa comincia in un guado dove Dio apre gli occhi ad una prospettiva nuova di vita: una vita ancora possibile, una vittoria ancora possibile, grazie alla benedizione di Dio. Arrendersi prima ancora di cominciare non da più il diritto di giudicare Dio, da un lato, e dall’altro è il rifiuto o la paura, di uscire rigenerati dal confronto con Dio. Tanti non credono perché non lottano con Dio. L’indifferenza nei confronti di Dio non è fede e gli atteggiamenti formali di religiosità sono vuoti della presenza di Dio. Perché il Signore non vuole essere relegato lontano da noi né in fredde nicchie dei templi, né nei distaccati ragionamenti della nostra mente.
Dio vuole affrontarci faccia a faccia, perché si possa vedere il suo vero volto e che per ognuno di noi sarà un volto nuovo, come un bambino che nasce e scopre il volto del proprio padre e della propria madre, che gli hanno dato la vita, e ora gli danno un nome.
Ma il volto di Dio non sarà il volto radioso della propria madre che i bimbi vedono il giorno della loro nascita. Non vedremo occhi di diamanti e un’aureola che lo circonda... vedremo invece un volto insanguinato, come quello di tanti bambini dell’Afganistan, dell’Iraq, della Siria... e di tanti altri luoghi di sofferenza. Vedremo un volto avvilito, deluso, frustrato, sconfitto come quello di coloro che s’impegnano per la pace e la giustizia. Vedremo il volto angosciato di qualcuno che sta per morire... come il volto del Cristo e di sua madre che piange impotente sotto la sua croce.
Ecco il volto di Dio! Un Dio tutto sommato sconfitto, ma la cui vittoria non consiste nell’essere Lui il vincitore... ma nel far sì che alla fine sia l’uomo a uscirne vincitore. Per farci comprendere questa grande realtà Cristo è morto… ed è risorto: il varco che ha aperto per noi.
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Nel cammino della fede Dio cambia nome all’uomo, lo rigenera, gli da la forza per affrontare altre lotte, lo benedice. L’uomo vorrebbe cambiare nome a Dio, vorrebbe assoggettarlo... ma non può. Può però cambiare nome al luogo della sua lotta... può trasformare situazioni di sconfitta in luoghi di lotta e di vittoria... Noi possiamo... possiamo cambiare il luogo dove viviamo e lottiamo. Questo è il cammino della fede!
Giacobbe lasciò una terra per un’altra, un passato per il futuro dove c’era la sua benedizione, una vita per un’altra. Il passaggio del guado è troppo simbolico per lasciarlo senza una riflessione. Passare all’altra riva dopo aver lottato contro Dio e in cui Dio si lascia vincere non è il passaggio dello sconfitto, ma di colui che ha ricevuto un altro nome, un nome nuovo, un’esistenza “altra”.
Non ci si sposta soltanto da un posto all’altro... si può emigrare anche da un’idea all’altra, da un atteggiamento all’altro, da un pensiero all’altro. Come in ogni crescita, in ogni passaggio, in ogni emigrazione, così anche nel cammino della fede e della vita ci sarà una lotta dentro e fuori di noi... ma anche la benedizione.
Pastore Giuseppe La Torre