Genesi 13, 1-12
La separazione tra Abramo e Lot
A tutti ha fatto male, in questi giorni, aver saputo della barbara uccisione di tre ragazzi israeliani e – per ritorsione – di un ragazzo palestinese. L’ultimo episodio di un conflitto che dura più di 150 anni e che sembra non avere mai fine.
Siamo cristiani, la nostra fede affonda le sue radici nelle sacre Scritture d’Israele e il nostro cuore batte per Israele… ma deve battere anche per il governo israeliano e per i coloni che occupano la terra dei palestinesi? E la nostra compassione per quanto subiscono i palestinesi sotto il duro tallone d’Israele deve farci chiudere gli occhi sull’odio che i terroristi di Hamas incutono contro Israele fino sfociare in atti di pura barbarie che provocano altra barbarie? …
Siamo come spettatori in una partita di calcio in cui o tifiamo per gli uni o tifiamo per gli altri, come quando nei circhi romani si assisteva alla lotta cruenta dei gladiatori aspettando e incitandoli fino a che uno dei due soccombesse!
Abramo è una delle figure tra le più interessanti e affascinanti di tutta la Bibbia, anzi, potremmo dire, di tutte le Scritture ebraiche, cristiane e musulmane. Anche nel Corano infatti, Abramo è presentato come uomo di fede, come capostipite di tutti coloro che credono nell’unico Dio. Le Scritture Ebraiche narrano che a lui Dio aveva promesso un popolo numeroso e una terra: la terra di Canaan… Israele, la Palestina! Ma ecco l’episodio posto all’attenzione della nostra riflessione: la separazione tra Abramo e suo nipote Lot, la separazione di persone e della terra. Sia Abramo che Lot avevano molto prosperato nel loro lavoro, il loro clan e i loro armenti erano cresciuti. Erano parenti, avevano una storia comune… ma volevano vivere nella stessa terra!
Anche allora la Palestina era terra di contesa e il Medio Oriente luogo di scontri. I pastori di Abramo, infatti, si contendevano con i pastori di Lot un pozzo, un pascolo, la collina, la pianura e così via. Gli incidenti diventavano sempre più frequenti, dalle parole si passava agli insulti e dagli insulti alle mani… poco mancava che si arrivasse alla guerra.
Cosa fare?
Certo, Abramo era nel suo diritto. A lui Dio aveva dato quella terra, era stato chiamato da Ur dei Caldei a lasciare ogni cosa per andare lì, Abramo era il più anziano (quindi colui che aveva più autorità e poteva dettare legge!)… e sicuramente era anche il più forte. Abramo aveva la forza, l’autorità e il diritto dalla sua parte.
Cosa fare?…
Cosa avremmo fatto noi al suo posto?…
Come si sarebbe risolta oggi quella situazione?…
Quando la tensione era molto grande e proprio nel momento in cui la logica degli avvenimenti avrebbe potuto giustificare un’azione di forza evocando il proprio diritto e la promessa di Dio, ponendosi quindi a tutela della Sua sovrana volontà… ecco che si rivela il vero carattere dell’uomo di fede.
Abramo prende un’iniziativa di pace e propone a Lot una pacifica spartizione del territorio, senza mettere avanti le proprie prerogative, senza usare la sua forza morale e fisica, senza far uso della fine astuzia del diplomatico che, pur non versando una sola goccia di sangue, saprebbe ugualmente tirare dalla sua la parte migliore.
Anche noi avremmo agito come Abramo? In una controversia con dei parenti, con dei vicini… anche noi avremmo preso un’iniziativa di pace?… senza mettere in mezzo avvocati, polizia… o soldati?… Chissà!
Il testo biblico su cui stiamo riflettendo, ci pone una domanda: qual era la chiarezza interiore che permise ad Abramo quell’iniziativa mettendo in discussione un certo agire sbrigativo ritenuto normale da altri e forse da noi stessi?
Non è difficile la risposta.
Per Abramo, la sua presenza nella terra dei cananei, la stessa chiamata, il dono di una terra e di un popolo non sono fini a se stessi, ma segni di una volontà divina che li trascende. Abramo è ben consapevole di essere stato chiamato a far parte dell’inizio di una nuova storia, destinata ad indicare un modo di essere “terra” e un modo di essere “popolo” in cui un giorno non ci si opporrà l’uno all’altro in rapporti di forza e di potere, ma di amicizia e di fraternità. Questa “terra” non la si conquista con i carri armati, ma la si costruisce con azioni conformi alla nuova vita e alla nuova mentalità che abiteranno in essa: giustizia, fraternità, concordia. Abramo parlò ed agì già come cittadino di quella terra promessa che era al di là degli stessi confini della Palestina.
Quando Gesù ha indicato le linee di condotta che fossero segno della presenza del Regno di Dio, della terra “altra”, ha detto: «Beati i mansueti, perché essi erediteranno la terra» e in questa frase di Gesù è riassunta la storia di Abramo e l’essenza della persona di fede.
La fede non da diritti né giustifica le nostre azioni, ma apre una visione della vita basata sulla misericordia di Dio! La fede può farci vedere un orizzonte più ampio di quello confinato entro i soli nostri diritti.
E’ utopia?… per molti sì!
Cominciando il giorno ebraico col tramonto e dovendo insegnare i rituali che aprono lo Shabàt, il Sabato, un giorno un vecchio e saggio rabbino domandò ai suoi allievi: «Quando è il momento in cui finisce il giorno e comincia la notte». Uno rispose “mezz’ora dopo che il sole è tramontato”, un altro “quando non è più possibile distinguere i colori” e un altro ancora “quando non si può più fare a meno del lume”… ma il maestro scuoteva sempre la testa. Dopo altri e numerosi tentativi di risposta degli allievi che non riscontravano il consenso del maestro, alla fine il saggio rabbi diede la sua risposta: «Quando non distingui più, nel volto di un’altra persona, il volto di tuo fratello… di sicuro è notte!».
6 luglio 2014