Luca 15, 3-10
Smarrirsi ed essere trovati
Gesù raccontò queste parabole:
"Se uno di voi ha cento pecore e ne perde una, che cosa fa? Lascia le altre novantanove al sicuro per andare a cercare quella che si è smarrita e la cerca finché non l'ha ritrovata. Quando la trova, se la mette sulle spalle pieno di gioia, e ritorna a casa sua. Poi chiama gli amici e i vicini e dice loro: "Fate festa con me, perché ho ritrovato la mia pecora, quella che si era smarrita". "Così è anche per il regno di Dio: vi assicuro che in cielo si fa più festa per un peccatore che si converte che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione.
"Se una donna possiede dieci monete d'argento e ne perde una, che cosa fa? Accende la luce, spazza bene la casa e si mette a cercare accuratamente la sua moneta finché non la trova. Quando l'ha trovata, chiama le amiche e le vicine di casa e dice loro: "Fate festa con me, perché ho ritrovato la moneta d'argento che avevo perduta".
"Così, vi dico, anche gli angeli di Dio fanno grande festa per un solo peccatore che cambia vita".
Cambiare è difficile.
Dice il Mahtma Ghandi: “Sii il cabiamento del mondo che voi cambiare”.
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In una grande biblioteca, come in una grande orchestra, ogni libro e ogni strumento ha la sua particolarità e la sua collocazione. Sapere ciò che si è e accettarsi per ciò che si è diventa allora il punto di partenza di ogni cammino. Un libro di narrativa non è meno importante di un libro di filosofia o di storia né un libro di matematica è più indispensabile di un libro di geometria o di fisica. Così come il violino non è più importante del pianoforte né di un oboe o di un clarinetto. Perfino il triangolo in un’orchestra ha la sua importanza e trova il suo posto. Se un libro è interessante non ha alcuna importanza se sia nuovo o vecchio.
Importante è sapere ciò che si è e accettarsi per ciò che si è: padre, madre, giovane, anziano, uomo, donna e così via. Solo da lì si può cominciare un cammino. Si può essere un pessimo padre o un buon padre, una madre assente o una madre attenta, un giovane balordo o coscienzioso, un anziano piagnucolone o saggio, un uomo malvagio o maturo, una donna superficiale o impegnata. I pianoforti non sono tutti uguali come non lo sono i violini. La narrativa può migliorare e la filosofia la si può approfondire. La matematica o la fisica possono raggiungere nuove mete o nuove applicazioni.
Prendere coscienza della propria malvagità o della propria superficialità è liberante e ci immette in un cammino per ritrovare noi stessi. È un cammino che non si arresta con la vecchiaia o con la malattia, con la perdita di una persona cara o con la fine di un amore. Non è vero che più si avanza negli anni più si perde la vita. Uno Stradivari è tra i più vecchi dei violini, ma produce i suoni più puliti che si possono ascoltare da un violino.
La vita va percorsa fino in fondo!
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Ma in questa nostra vita, l’unica che abbiamo, succede a volte di sentirsi come smarriti, soprattutto quando crediamo di essere arrivati ad un punto morto in cui non ci sono più sogni, progetti o quando ci si sente traditi da persone care e amate o non si riesce ad accettare la propria età o la condizione di salute quando ci si sente inutili… Succede!
Succede di trovarsi in situazioni in cui non ci si sente al posto giusto come un libro riposto in un a collocazione errata nella biblioteca o come un violino tra i tamburi… Succede di ritrovarsi lontani dai nostri sogni di un tempo o, dopo tanta fatica, avere l’impressione di avere zappato nell’acqua, di non aver concluso nulla o poco!
Succede di voler essere altrove, desiderare di stare con altri o di voler fare altro o… cosa più triste… di essere come un altro, come un’altra!
È proprio allora che ci si sente come smarriti!
Anche se sentirsi smarriti non è detto che sia sempre qualcosa di negativo, perché può essere il momento in cui prendiamo coscienza di noi, di dove ci troviamo e verso dove stiamo andando. Accorgersi di trovarsi nel treno sbagliato da la possibilità di cambiare e di ritornare nella giusta direzione. Accorgersi di un’amicizia interessata, di un amore violento, di un’abitudine dannosa… è una liberazione.
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Noi siamo stupende, importanti e ricche creature. Ognuno di noi è portatore di valori e di risorse che avvalorano e sostengono la vita di altri. Come i tanti e diversi libri in una biblioteca in cui ognuno è prezioso per quello che è e che solo esso può dare… così siamo stati riposti da Dio nella vita.
Succede, però, che un libro si smarrisce e che se non riposto nella sua corretta collocazione non venga più trovato… Allora è importante avere un buon bibliotecario che ti cerca, ti trova e ti riporta alla vita!
Nelle parabole che abbiamo ascoltate, il Vangelo c’insegna che il Cristo non si stanca di cercarci, di cercare l’essere umano per riportarlo verso quell’evoluzione incompiuta che lo porrà in armonia con il cosmo e lo riappacificherà con se stesso e con la Sorgente della vita che noi chiamiamo “Dio”.
Così è Dio. Il Dio di Gesù, che continuamente cerca. Mi cerca, ovunque io mi sia perso. Egli ci cercherà finché non ci avrà trovato. Ci aiuterà a scavare nell’aridità delle nostre situazioni finché non risorgerà la vita.
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In fondo, il cammino di fede è il rapporto tra Dio e l’uomo in un continuo cercarsi a vicenda.
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Mi sono chiesto, meditando su queste parabole, se abbiamo mai percorso il cammino che ci porti dal dio piccino della religione a Quello di cui ci ha parlato Gesù? Perché, se lo abbiamo fatto, inevitabilmente abbiamo attraversato indenni momenti forti, a volte di grande sofferenza, destabilizzanti, come quando abbiamo dovuto subire un lutto, una malattia… una separazione. Abbiamo dovuto innervare la fede con la riflessione, liberandola da stereotipi e renderla coerente con la nostra vita per renderla autentica.
Mi sono chiesto se abbiamo percorso questo cammino...
La fede non è semplicemente religione. La fede è una vita pacificata con Dio (che non potremo mai conoscere veramente a fondo), è una vita pacificata con noi stessi e con chi ci vive vicino. Avere fede significa anche, se non soprattutto, lasciarsi condurre “oltre” dalla mano di Dio, lì dov’è la nostra corretta collocazione nella vita di questa grande biblioteca dell’Universo.
Ma forse dobbiamo ammettere che preferiamo le nostre certezze: il danno minore, l’assenza del rischio, restare tranquilli nel nostro angolino. Preferiamo non mettere in discussione le cose acquisite, anche nella fede… e nel nostro agnosticismo latente. Dio l’abbiamo trovato, o qualcosa di simile, e – come in una equazione matematica – sta alla nostra vita come la Bibbia impolverata sui nostri scaffali!
C’è… ma preferiamo leggere altro. Preferiamo ascoltare altro!
Il nostro cuore arde per Dio?...
No!
Il cuore, però, non sopporterà il vuoto di Dio per sempre!... Ritornare a Dio, affidarsi a Lui, è il primo passo per ritrovarsi.
L’umano senso di vuoto obbliga la mente a cercare ancora, ad aprire nuove possibilità, ad andare oltre il dio delle religioni. Lì Dio troverà ancora una strada per trovarci.
Il cuore non sopporterà il vuoto di Dio per sempre… si volgerà altrove o, se non trova, imploderà in se stesso, nei confini del suo piccolo mondo, dove ci potrebbe essere anche posto, in un cantuccio, per un dio piccino… ma non sarà mai il Dio di cui ci ha parlato Gesù.
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Le parabole ascoltate gettano una spallata definitiva alla nostra mediocre visione di Dio per spalancare la nostra fede alla dimensione del cuore di Dio. Convertirsi significa passare dalla nostra prospettiva a quella inaudita di Dio.
Ben lontano dall’avere una visione poetica o approssimativa della fede, Luca sa che l’esperienza di sofferenza interiore di smarrimento, la lontananza da Dio e da noi stessi, può diventare un incontro che salva, che ci aiuta a ripartire con maggiore autenticità e coraggio.
Ma cos’è la fede se non lasciarsi mettere in discussione.
Sicuramente la nostra fede non può fondarsi sulle nostre capacità, sulle nostre devozioni, sui nostri sforzi, ma sull’ostinazione di Dio che ci cerca. E la realtà spirituale che noi cerchiamo in questo mondo postmoderno non può essere raggiunta senza una mente di larghe vedute… ma essa non sarà mai scoperta senza un cuore fiducioso.
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Noi vorremmo credere e capire… ma la fede non produce nessuna conoscenza, anzi (addirittura!) azzera ogni conoscenza… ogni preconcetto. La fede ti immette nell’ «oltre», ti porta al di là. Accade come quando un matematico o un fisico spende giorni, settimane o mesi su un calcolo per poi accorgersi di essere arrivato ad un punto morto. Allora azzera tutto… ma azzerare non significa abbandonare ma andare avanti. Quel matematico o quel fisico ricomincia sì, ma non ricomincia da zero, tenta invece di andare «oltre» il suo punto morto rimettendosi in discussione, mettendo in discussione le sue conoscenze.
Questa è la conversione, la metànoia, il cambiamento di direzione della mente. Questo è il cammino giorno per giorno della fede.
La fede toglie ogni preconcetto e ti conduce verso il nulla. Questo “nulla”, però, non è assenza, ma l’ «oltre» di Dio: è molto più profondo e molto più ricco di quanto la nostra stessa mente possa immaginare.
È come quando Cristoforo Colombo si spinse «oltre» e non trovò «nulla» di quello che voleva trovare, «nulla» del suo sogno e «nulla» di quanto la sua mente aveva intuito ed elaborato… ma ha trovato un nuovo mondo!
Mi piace concludere con le parole del profeta Geremia in cui Dio dice ad ognuno di noi: “Invocami, ed Io ti risponderò: t’annunzierò cose grandi e impenetrabili che tu non conosci” (Geremia 33,3).
Pastore Giuseppe La Torre
Vacallo, 15 settembre 2019