25Molta gente accompagnava Gesù durante il suo viaggio. Egli si rivolse a loro e disse: 26«Se qualcuno viene con me e non ama me più del padre e della madre, della moglie e dei figli, dei fratelli e delle sorelle, anzi, se non mi ama più di se stesso, non può essere mio discepolo. 27Chi mi segue senza portare la sua croce non può essere mio discepolo. 28Se uno di voi decide di costruire una casa, che cosa fa prima di tutto? Si mette a calcolare la spesa per vedere se ha soldi abbastanza per portare a termine i lavori. 29Altrimenti, se getta le fondamenta e non è in grado di portare a termine i lavori, la gente vedrà e comincerà a ridere di lui 30e dirà: “Quest'uomo ha cominciato a costruire e non è stato capace di portare a termine i lavori”.
31Facciamo un altro caso: se un re va in guerra contro un altro re, che cosa fa prima di tutto? Si mette a calcolare se con diecimila soldati può affrontare il nemico che avanza con ventimila, non vi pare? 32Se vede che non è possibile, allora manda dei messaggeri incontro al nemico; e mentre il nemico si trova ancora lontano gli fa chiedere quali sono le condizioni per la pace. 33La stessa cosa vale anche per voi: chi non rinunzia a tutto quel che possiede non può essere miodiscepolo.
34Il sale è una cosa utile, ma anche il sale se perde il suo sapore come si fa a ridarglielo? 35Non serve più a niente, neppure come concime per i campi: perciò lo si getta via. Chi ha orecchi cerchi di capire!».
(Luca 14, 25-35)
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Noi viviamo in un mondo di “eccedenze”. Siamo circondati da miriadi di oggetti, suoni, visioni. Incontriamo ogni giorno centinaia di persone, per strada, al lavoro, al supermercato, ma parliamo solo con alcune di esse. Se la nostra memoria dovesse trattenere tutti i volti, tutti i suoni, tutte le parole o tutte le informazioni che riceviamo in una giornata noi impazziremmo. La nostra memoria è selettiva, sceglie ciò che ci serve e ciò che ci potrebbe servire… il resto lo butta via: la nostra memoria riconosce ciò che è importante e le eccedenze le cancella.
Questo è il problema: riconoscere ciò che bisogna tenere e ciò che bisogna lasciare, ciò che è importante e ciò che non lo è, il dettaglio dall’insieme, ciò che dura dopo di noi e ciò che muore con noi.
L’invito di Gesù a non amare il padre e la madre, la moglie, il marito e figli e perfino noi stessi più di Gesù, è una delle frasi forti e volutamente esagerate di Gesù per porci una questione di fondo: noi appoggiamo la nostra esistenza con fiducia sul Cristo oppure no? Con i nostri affetti, la nostra professione, i nostri talenti e le nostre inclinazioni, con tutti i nostri limiti e le nostre ferite… avanziamo verso un’umanità migliore di cui ci sentiamo già parte oppure no?...
E a questa domanda non è facile rispondere per nessuno!
Proprio su tale questione dobbiamo chiarirci le illusioni e le delusioni su cui si barcamena la nostra esistenza.
Nel cammino spirituale, il Vangelo c’insegna a smascherare le nostre illusioni e gli inganni che ci creiamo. Essere battezzati non implica solo l’essere innestati nella vita del Cristo e ricevere tramite Lui la comunione con Dio. Avvia anche un processo di comprensione del cammino dell’umanità all’interno della stessa vita dell’intero cosmo e a capire chi siamo e cosa siamo, esortandoci ad assumere la consapevolezza del contributo che siamo chiamati a dare e dell’energia spirituale di cui possiamo disporre. Questo è “prendere la nostra croce”!
Il mondo non va verso la morte, ma verso la vita, ma in questo mondo vi sono forze che spingono verso la morte e forze che spingono verso la vita. Quale delle due forze è in noi?
Smascherare le nostre illusioni e gli inganni in cui ci crogioliamo significa riconoscere il quadro ideale di noi stessi che ci siamo fatto e i progetti che mettiamo in campo per realizzarlo. Molte delle nostre delusioni nascono proprio quando i nostri progetti non vanno a buon fine.
L’immagine che forgiamo di noi stessi può essere troppo grande o troppo piccola. La mitologia greca narra di Procuste, il brigante che assaliva i viandanti e li legava a un letto nel quale dovevano adattarsi perfettamente. A chi era più lungo tagliava le gambe e chi era più corto lo stirava fino a raggiungere la giusta misura. Ovviamente, l’esito finale era la morte!
Anche noi, a volte, ci costringiamo in un letto come quello di Procuste, che può essere o troppo lungo o troppo corto, a motivo di certe nostre attese illusorie che ci fanno perdere il senso della realtà sulla nostra persona e sul significato della nostra vita, destinata ad essere sale su questa terra, per darle sapore!
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Per prima cosa, il Vangelo ci aiuta a recuperare un quadro realistico della nostra realtà personale esortandoci achiamare le cose con il loro nome! Conoscere quanto ci costerà la costruzione della Torre. Conoscere la vera forza del nemico che abbiamo davanti.
Una malattia è una malattia, un cancro è un cancro, una depressione è una depressione, un rapporto finito è un rapporto finito. Cambiare il nome alle cose non è la soluzione… è l’illusione: non è la medicina… è il placebo! Come nella storia di Cappuccetto Rosso, illudersi che il lupo sia la “nonna” e temporeggiare sulla grandezza delle sue mani o sulle sue orecchie ci getterà tra le sue fauci. Come insegna Gesù nel Vangelo, occorre chiamare il pane “pane” e il vino “vino”!
Questa è la fase del coraggio e, come dice Gesù, di prendere, di abbracciare la propria croce, non tirarsi indietro nella lotta e affrontare ciò che bisogna affrontare… In una lotta non c’è cosa peggiore che affrontare il nemico sbagliato, lasciando al vero nemico spazio e tempo per aggirarci alle spalle e colpirci.
Non dobbiamo avere paura di chiamare le cose con il loro nome. Se il Signore vive in te potrai dire col salmista “Mi hai riempito di coraggio dando forza all’anima mia” (Salmo 137/138,3).
Se una situazione è troppo grande per le nostre forze, bisogna accettare che è troppo grande; non diventa più piccola solo se la sminuiamo noi. Ci sono situazioni che sono più grandi di noi, forse la maggior parte delle situazioni che ci troviamo ad affrontare; come un bambino che cresce e che è costantemente circondato da cose e da situazioni più grandi di lui… e cresce proprio perché affronta situazioni più grandi di lui. È la tempesta che forgia il marinaio, non la bonaccia. È la difficoltà che rafforza la fede.
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La seconda indicazione che ci da il Vangeloè la consapevolezza di non essere né i primi né gli unici ad affrontare quella determinata situazione. Non sei il solo… non sei la sola; ma soprattutto non siamo soli! Come è scritto: L’Eterno non abbandona quelli che lo cercano(Salmo 9, 10).
C’è un’ironia nella frase di Gesù quando dice “anche il sale se perde il suo sapore come si fa a ridarglielo?”. Il sale è uno dei pochi alimenti che non può mai perdere il suo sapore. Così è la presenza di Dio in noi che non ci abbandonerà mai!
Ciò è liberante!
Ingrandire a dismisura, esagerare le difficoltà, dipingere il diavolo più brutto di quello che è non ci pone nella condizione di una corretta valutazione di ciò che stiamo vivendo con il conseguente rischio di paralizzare la soluzione o di chiudere la via di uscita a situazioni che, anche se difficili da superare, tuttavia non sono impossibili.
Chiamare le cose con il loro nome significa delimitarle, confinarle all’interno delle loro difficoltà per poterle affrontare e intraprendere le eventuali e possibili vie d’uscita. Saper descrivere ciò che stiamo attraversando e accomunarlo con l’esperienza di altri confinandolo nella sfera dell’esperienza umana ci aiuta a vincere la paralizzante disperazione di chi ritiene che ormai ogni cosa è conclusa, occlusa, destinata. La fine di un rapporto non significa la fine dei rapporti e la fine della vita non significa la fine della persona.
Considerare un problema come “normale” e comune ad altri, certamente non significa risolverlo, ma ci pone nella condizione di affrontarlo, come altri hanno fatto, di tentare come altri hanno tentato evitando la grave tentazione di semplificare le soluzioni o di concentrarsi su un singolo aspetto del problema senza considerare il tutto. Eviteremo questo solo se sapremo descrivere bene cosa stiamo vivendo e se sapremo dare il nome giusto alle cose: un lupo è un lupo e un cancro è un cancro. Forse potremo vincere e forse no, ma magari c’è un modo di vivere la nostra morte senza bisogno di morire prima che la fine giunga.
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Ecco la terza indicazione che ci da il Vangelo: considerare noi stessi, il nostro problema e la nostra stessa vita come parte di qualcosa di più grande. La nostra vita coincide col nostro problema? oppure questo è solo il sassolino nella scarpa che ci impedisce di camminare bene o il mal di denti che altera tutte le altre nostre capacità di agire e di reagire? Saper distinguere le tessere di un mosaico dal mosaico stesso è fondamentale per poter riparare il mosaico quando una o più tessere saltano via. Un problema, anche se grave, è un problema e la vita è la vita: confondere l’uno per l’altra è la morte!
Il nostro compito allora è quello di dilatare la nostra mente, il nostro cuore e il nostro spirito di là dai dettagli per comprendere questi come parte della vita e distinguere le eccedenze dall’essenziale.
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La posta in gioco è la forma che vogliamo dare alla nostra vita. Impegnarsi in questo non è cosa da poco, perché da come noi viviamo saremo o non saremo testimoni di Cristo su questa terra… e saremo sale e luce di questa terra.
Non dobbiamo farci dominare da ciò che ci eccede, dal superfluo, dal dettaglio, dal problema. Il compito cui siamo chiamati è di dilatare la nostra mente, il nostro cuore e l’anima nostra alla misericordia di Cristo, che vive in noi!
Past. Giuseppe La Torre
Vacallo, 8 settembre 2019