Pentecoste e la questione della trinità
Giovanni 20,19-23
La sera della domenica di resurrezione, mentre i discepolI erano a porte chiuse e pieni di paura, venne Gesù e disse loro: «Pace a voi!». I discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
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La Pentecoste è la terza festa più importante del calendario cristiano, ma meno vissuta nella cristianità. Non è come il Natale o come Pasqua. Non ha un tempo di preparazione come l’Avvento per il Natale o la quaresima per la Pasqua e in diverse nazioni di tradizione cristiana è stata ridotta a una vacanza. M sono meravigliato, quando sono arrivato in Svizzera, che molti ritenevano il giorno di Pentecoste non la domenica ma il lunedì di Pentecoste, il giorno successivo alla festa che è dedicato tradizionalmente alle scampagnate in famiglia.
Come mai tanta disaffezione alla Pentecoste in quanto festa religiosa?
Non sarà forse per evitare la pungente questione sullo Spirito Santo?
Non sarà per caso un modo di evitare di affrontare la questione della Trinità?
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Vi sono questioni, argomenti, dottrine o dogmi che se affrontati, e per il solo fatto di essere affrontati, possono scombussolare una persona. È per questo motivo, forse, che tanti preferiscono non avventurarsi in questioni che potrebbero scardinare i propri punti di vista preferendo lasciare le cose come stanno.
La verità non interessa?... Eppure Gesù ha proclamato «Conoscerete la Verità e la verità vi farà liberi» (Giovanni 8,32).
Alcuni viviamo di prigione in prigione, le porte si chiudono attorno a noi, viviamo nell’angoscia di confini nazionali o religiosi spalancati, e non ci sentiamo più protetti.
Ci siamo entusiasmati per la globalizzazione, quando pensavamo potesse servire solo ad aprire la nostra economia e noi potessimo finalmente essere cittadini del mondo; ma poi ci siamo accorti che l’economia degli altri invadeva la nostra e che altri volevano essere cittadini anche da noi.
La tentazione allora è quella di murarsi dentro!...
Ci siamo entusiasmati per i progressi della scienza che ci ha liberato da superstizioni, da miti ancestrali, da malattie, da incognite della fisica, dell’astrofisica, della geologia, della psicologia umana, della storia e così via… Eppure tanti sentono minacciata la propria fede dalla scienza e o abbandonano la fede o la rinchiudono nel cuore lasciando libero il cervello dal suo peso!...
Ma questa non è la libertà di cui parlava Gesù!
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La festa della Pentecoste ci richiama al rapporto intenso, vissuto e libero con Quello che noi oggi chiamiamo ancora «Dio», termine che deriva dall’antica lingua sanscrita del popolo Aria della valle dll’Indo, che chiamavamno la divinità principale “Diàus Pitàr” (il “Celeste Padre”) e che in Grecia divenne “Zeus” da cui deriva la parola «theòs» (dio), una parola per definire «l’Indefinibile».
Anche i dogmi cristiani cercano di definire l’indefinibile.
Il dogma della Trinità è stato formulato nel IV e nel V secolo dai concili di Nicea, Costantinopoli e Calcedonia in alcuni “simboli” (confessioni di fede). Leggendo questi testi rimaniamo colpiti dalla loro complessità e dalla loro sofisticazione.Riassumendo e semplificando all’estremo, essi dichiarano che Dio è una essenza o sostanza unica in tre persone o istanze distinte. Non possiamo né confondere né separare il Padre, il Figlio e lo Spirito; essi sono al tempo stesso identici e differenti.
Non si trova niente di tutto questo nel Nuovo Testamento se non interpretando in questa direzione alcuni testi. Quando, alla fine del Vangelo di Matteo, Gesù chiede ai suoi discepoli di battezzare i credenti “nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”, si tratta di una formula ternaria (che non dice nulla delle relazioni tra i tre esseri che enumera) e affatto trinitaria (non dice che i tre sono uno e che questo uno è tre). La Trinità scaturisce da riflessioni e discussioni molto posteriori ai tempi apostolici; ravvisarne l’affermazione è una forzatura.
Perché è stato formulato il dogma trinitario? Essenzialmente per mettere fine a delle aspre dispute, sprovviste di ogni amore fraterno e rispetto, tra diverse fazioni del cristianesimo le cui tesi oggi ci paiono molto vicine. Se avesse vinto una di quelle che è stata condannata dai concili e dall’impero, non sarebbe cambiato gran che. La formulazione divenuta “ortodossa” l’ha spuntata in gran parte perché le autorità politiche l’hanno imposta con la forza.
Nel corso dei secoli la dottrina trinitaria è stata sovente contestata. Contrariamente a quanto talvolta si dice, essa non ha riscosso né riscuote oggi l’unanimità dei consensi. Tuttavia è giusto far notare che, nel corso della storia, molti di coloro che sono stati qualificati come “antitrinitari” (come il celebre Ario nel IV secolo e Serveto nel XVI) hanno proposto più una variante che una negazione della Trinità. Questa dottrina ha allontanato gli ebrei (perché porta con sé la divinizzazione di Gesù, identificato con il Figlio, che essi giudicano blasfema) e i musulmani (che vi vedono un’insopportabile offesa all’unicità divina).
Dopo questa rapida disamina storica, io non vedo nella dottrina trinitaria una massa di assurdità. Essa non manca di interesse né di valore.
Per un verso, per far comprendere cos’è o chi è il Dio cristiano, utilizza le categorie del pensiero filosofico del mondo ellenistico. I Concili non dicono le stesse cose del neoplatonismo dominante ai loro tempi, ma si servono del suo vocabolario, dei suoi concetti, delle sue analisi. Questo tentativo di adattamento alla cultura del mondo circostante mi sembra lodevole come principio. Ed era assolutamente ovvio che gli intellettuali cristiani parlassero e pensassero nella cultura in cui si erano formati e si esprimessero in termini comprensibili ai loro contemporanei.
Al posto di ripetere delle formule che appartengono a un altro tempo (come quelle degli antichi concili) dovremmo sforzarci anche noi di annunciare l’Evangelo nel linguaggio della nostra epoca. Non per cedere alla cultura del tempo, ma per esprimersi nella cultura del tempo.
D’altra parte, in questa dottrina si esprimono delle intuizioni giuste. Così, per il credente, Dio è potenza, che corrisponde alla prima persona della Trinità, simboleggiata dalla figura del Padre, creatore e provvidenza. Dio è ugualmente senso, che corrisponde alla seconda persona della Trinità, associata alla saggezza o al Logos (che vuol dire parola ragionata) e simboleggiata dalla figura del Figlio. E soprattutto Dio è l’unità della potenza e del senso; non è una potenza sprovvista di senso né un senso sprovvisto di potenza, che corrisponde allo Spirito. Il sole da luce, calore ed energia vitale. Non si può separare la sua luce dal suo calore e dall’energia che sprigiona. Questo concetto volevano esprimere i nostri padri.
Parlare però di “Dio trinitario” o di “Dio Padre, Figlio e Spirito Santo” significherebbe identificare una formulazione ecclesiastica e una definizione teologica con la rivelazione divina, confondere l’Essere di Dio con il nostro discorso su Dio, identificare le nostre parole con l’Essenza di Dio, facendone una verità assoluta. Nessuna dottrina deve pretendere di “rinchiudere” Dio.
Sarebbe tanto semplice e giusto parlare semplicemente del “Dio di Gesù”, che i suoi discepoli hanno cercato d’intuire dalle sue parole e dalla sua vita, oltre che dall’energia che era presente in lui e che lo ha portato “oltre” la sua fine biologica.
Come scriveva Albert Schweitzer, piuttosto critico verso le dottrine classiche, «il dogma della Trinità tocca delle realtà profonde, alle quali rimaniamo sensibili». C’è qualcosa di profondo nel discorso sulla Trinità che riusciamo a intuire ma che non riusciamo ad esprimere.
Questo ci porta ad affermare che non dobbiamo né rendere obbligatoria né escludere la dottrina trinitaria, perché vorrebbe dire cadere in una intolleranza e in una rigidità dogmatica che storicamente ha fatto cadere nel fondamentalismo sia l’ortodossia che l’eterodossia.
Non desidero la soppressione del discorso trinitario, mi auguro solamente che si accettino anche altre opzioni e si dia uguale rispetto sia a coloro che vedono nella Trinità un’espressione o interpretazione adeguata del messaggio del Nuovo Testamento sia a coloro che la pensano diversamente.
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Anche la nostra generazione, come in passato, è chiamata a scegliere se aprirsi o chiudersi.
In verità non sappiamo oggi se chiuderci o aprirci, se chiudere il nostro cuore o aprirlo, se chiudere i nostri confini o aprirli, così la stessa fede. Chiudersi può significare chiudersi alla speranza, rinchiudersi nei problemi, nelle difficoltà o in sensi di colpa senza trovare la chiave, la soluzione, un’apertura che non sia un’invasione. Nel frattempo rischiamo di rinchiudere gli altri, ma anche la stessa fede, nei nostri stereotipi, irrigidendo la loro immagine, impedendo loro di avanzare verso di noi e noi verso un mondo più aperto, più arioso.
Io appartengo a coloro che credono ancora al valore della fede e alla sottomissione della mia vita a Cristo. Cerco di vivere questa fede nella Chiesa e fuori dalla Chiesa. Nel rispetto di tutti, respingo però l’idea di fede come rifugio, in cui le porte si debbano chiudere di fronte all’agitazione del mondo. Respingo l’idea che in chiesa e nella Chiesa basti un po’ di elemosina per gli affamati e i bisognosi per esprimere la fede, ma dove non si debba parlare di società, di politica o di economia e di idee nuove! Né la Chiesa né la fede sono un rifugio dal fracasso del mondo e dall’agitazione della vita per ritrovare tra le sue mura la pace di Dio.
Ogni luogo chiuso ci rende sordi e ciechi al turbinio della vita in un egoismo confortevole. Una chiesa così sarebbe un luogo artificiale, marginale, inutile, protetto da vecchi riti, da un linguaggio fuori dal tempo! La Chiesa è invece chiamata a contribuire perché le società si aprano alla solidarietà, all’umanità e alla vita sia dal punto di vista sociale e politico sia da quello intellettuale e culturale.
Questa è «l’energia» di cui abbiamo bisogno!
In questo mondo globalizzato troppe voci ci chiamano, troppe grida ci sono da ascoltare, troppe ingiustizie da riparare, per avere il diritto di evadere fuori dal tempo, nelle cose spirituali e nella religione!
Non disprezzo, però, la quiete del raccoglimento ai piedi del Signore. È lì, in fondo ai nostri silenzi, ai nostri vuoti, alle nostre attese, che verrà lo Spirito, scaturito dalla quiete interiore che deve affrontare le grida e il silenzio degli esseri umani, l’oscurità che stiamo attraversando e la luce che verrà.
Questa è «l’energia» di cui abbiamo bisogno!
Gli uomini si affaticano a bloccare, rinchiudere, crocifiggere, murare in una tomba non solo il Cristo, ma anche l’essere umano più indifeso e la natura che subisce le angherie e l’egoismo del potere politico, economico e religioso. Gesù è venuto ad aprire quello che altri hanno chiuso.
Questo è il senso del capovolgimento di Pentecoste, quando un grande soffio di gioia sfonda le porte chiuse, riporta energia e rende la vita più ariosa!
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Credo sia possibile raggiungere qualcosa al di là di me stesso e questo allargamento del mio orizzonte mi offre più scelta, più possibilità di essere. Lo Spirito divino arieggia la vita, è dinamismo creatore, slancio, che gonfia i polmoni di coraggio e di armonia e permette di resistere alle forze distruttive dell’esistenza.
La fede è come il paracadute; è fatta per aprirsi. Come il paracadute che solo se si apre sarà sostenuto dall’aria… così solo quando accettiamo di aprirci all’Indefinibile saremo sostenuti dallo Spirito di Dio!
Past. Giuseppe La Torre,
Chiasso, 9 giugno 2019, Pentecoste