Cosa c'è dopo la morte?
Lettera ai Romani 8,38-39
“Io sono sicuro che né morte né vita, né angeli né altre autorità o potenze celesti, né il presente né l’avvenire, né forze del cielo né forze della terra, niente e nessuno ci potrà strappare da quell’amore che Dio ci ha rivelato in Cristo Gesù, nostro Signore”
*****
Fino a qualche generazione fa, l’argomento della morte e dell’aldilà (di cui generalmente non si metteva in dubbio l’esistenza), era molto sentito e la stessa vita terrena era vista come un esame che se si superava si poteva accedere ad una vita di beatitudine, mentre se non si superava si veniva bocciati ad una vita di punizione.
Oggi invece l’argomento della morte e di una eventuale vita futura non sembra interessare nessuno, o quasi. L’orientamento comune è il desiderio di prolungare il più possibile questa vita, che sembra essere, alla maggior parte della gente, l’unica che si ha a disposizione, con la conseguenza che la perdita di una persona cara è un dolore inconsolabile che si allevia col tempo concentrandosi soprattutto sui ricordi e sulla vita che continua in noi e che ci appartiene ancora.
Tutto quello che accade dopo la morte rimane comunque un gande punto interrogativo anche per gli stessi credenti! Se da n lato le cose sembrano chiare su cosa ci aspetti dopo la morte, in realtà permangono molti dubbi e punti oscuri. Non saprei dire se questi siano poi delle domande che non hanno risposta o se dalle quali non si vuole o non si cerca una risposta.
Se c’è un paradiso e un inferno vi si accede subito dopo la morte o bisogna aspettare il giudizio universale?
Se subito, e vi può accedere quindi solo l’anima, perché il Credo parla di resurrezione dei corpi? E può un corpo risorgere dopo che, passando gli anni, i secoli e i millenni è stato completamente annientato e riassorbito nella natura.
In natura, noi compresi, tutto nasce, vive e muore, ma è la vita che vince sulla morte o se è la morte che distrugge la vita. Quale delle due è più forte? A quale delle due sarà data l’ultima parola?
È la vita che da senso alla morte o è la morte che toglie senso alla vita?
La morte sembra avere la meglio sulla vita, su ogni forma di vita. Sembra che essa non solo minacci la vita e la contrasti, ma la distrugga. Se ogni vita è destinata alla distruzione, quale può essere il suo significato?
La vita, ogni vita, sarebbe preceduta, circondata e seguita dal nulla?
…
Ritengo che vi siano almeno due validi motivi per affrontare la questione di cosa sarà di noi con la nostra morte. Innanzitutto la considerazione che la vita sia bella, o meglio che sia bello vivere anche se non si possa dire che la vita sia sempre bella! In fondo, nonostante le difficoltà, le preoccupazioni, le delusioni, le sofferenze e le amarezze che si possono incontrare, ci piace vivere e ci piacerebbe vivere il più a lungo possibile, perché sappiamo che tutto questo fa parte della vita.
La vita è bella anche se non sempre e non per tutti è felice. Anzi, per qualcuno può essere così pesante e dura da far loro decidere di porre fine alla propria vita!
È vero, la morte annulla la vita, ma non cancella né il miracolo della vita, che continua a persistere, né il desiderio di vivere, anzi li mette entrambi paradossalmente in maggiore luce, perché la vita sussiste miracolosamente pur essendo costantemente circondata e minacciata dalla morte. Per cui, tra la consapevolezza della bellezza della vita da un lato e la consapevolezza che dovremo comunque un giorno morire, possiamo reagire o a vivere come se non dovessimo mai morire non pensando alla morte per non essere né ossessionati né condizionati da essa, oppure accettare consapevolmente il limite della nostra vita e tenerne conto nel nostro stile di vita.
Ogni cristiano non dovrebbe avere, comunque paura della morte, e dovrebbe affrontarne il pensiero senza rimuoverlo e senza lasciarsene ossessionare.
Un primo motivo, quindi, per riflettere seriamente sulla morte è che essere responsabili della propria vita significa anche esserlo del suo limite. La coscienza di tale limite può svolgere un ruolo decisivo sul modo d’impostare e vivere questa nostra vita unica, ma non infinita. È quindi utile non considerare la morte come nostra nemica, ma come amica o come “sorella”, come diceva san Francesco, che lodava il Signore per “sora nostra morte corporale, da la quale nullo homo po’ skappare”. È utile quindi prepararsi a riceverla.
Nessuno vedrebbe la fine di una scuola, del liceo o dell’università come una tragedia. La loro fine anzi si festeggia. Gli anni precedenti ad una formazione, al diploma o alla laurea sono forse gli anni più belli della nostra vita e si vivono molto intensamente con gli amori che li attraversano e le delusioni e le soddisfazioni, ma assolutamente consapevoli che saranno anni che finiranno. Poi seguiranno gli anni da adulti, gli anni della maturità e del lavoro.
…
Un secondo motivo per il quale è utile pensare alla morte è riflettere sull’aldilà, di cui le stesse chiese oggi non ne parlano quasi mai, se non quando ne sono obbligate celebrando un funerale. Dobbiamo ammettere che la predicazione cristiana oggi parla quasi esclusivamente dell’aldiquà. Nessun vuole sentire discorsi sull’aldilà: non ci sono argomenti scientifici da proporre. Si lascia l’ultima parla alla fisica o all’astrofisica… quindi è inutile e sciocco parlarne!
Ma è veramente della fisica o dell’astrofisica l’ultima parola? In realtà non c’è una risposta (ancora!) su come tutto sia iniziato, su cosa abbia dato avvio al Big ben né su come tutto finirà.
Siamo ancora nella dimensione delle probabilità!
Comunque è vero: non vi sono prove che esista un aldilà… ma è anche vero che non vi sono prove che non esista!
Lasciando in sospeso le certezze della fede, è onesto ammettere che l’aldilà non è certo… ma altrettanto onestamente occorre ammettere, però, che è possibile!
…
Cosa succederebbe allora quando si muore?
Per quanto è possibile arrivare al limite della nostra riflessione, potranno succedere tre cose. Non saprei, onestamente, se ce ne possa essere una quarta.
La prima ipotesiè che con la morte finisca definitivamente ogni cosa di noi. La stessa Bibbia, proprio all’inizio nel Libro della Genesi, la morte è il castigo per tutta l’umanità a causa del peccato di Adamo ed Eva e la Bibbia mette in bocca a Dio la famosa frase rivolta all’uomo: “polvere sei e in polvere ritornerai”. La vita sarebbe allora come una cometa: una luce che appare e subito dopo scompare in un cielo oscuro. Se scompare quella cometa rimane, però il cielo stellato, direbbero alcuni. Muore l’individuo, ma la specie umana continua. Si spegne una vita, ma essa continua nel ricordo dei suoi cari.
…
La secondaipotesiè che tutto finisca solo provvisoriamente per un tempo più o meno lungo. Anche se la questione del tempo è relativa, perché fa parte solo della nostra dimensione spazio-temporale e passando ad una dimensione senza tempo l’attimo e l’eternità coincidono. Solo nell’aldiquà c’è lo scorrere degli anni, mentre al di fuori di esso può esserci solo il “nucnc stans”, l’eterno presente. In questa seconda possibilità la morte sarebbe l’interruzione momentanea della vita, non la fine totale. Il versetto 4 del Salmo 103 parla di Dio come di Colui “che redime la tua vita dalla fossa”: la vita già sepolta in una tomba sarebbe ripresa da Dio. Nel libro del profeta Ezechia al capitolo 37, si legge la grande visione della valle piena di ossa di defunti da molto tempo sulle quali il profeta profetizza pe ordine di Dio: “Aprirò i vostri sepolcri, vi trarrò fuori dalle vostre tombe… metterò in voi in mio Spirito e voi tornerete a vivere”. In questa visione Dio non sostituisce delle vite con altre vite, ma risuscita quelle stesse vite.
L’esempio per noi cristiani più emblematico è quello di Gesù. Il Nuovo Testamento accenna a una forma di sopravvivenza di Gesù dopo la sua morte e prima della resurrezione. Nella Prima Lettera di Pietro si legge Gesù “fu messo a morte secondo la carne, ma reso vivente quanto allo spirito e in spirito andò a predicare agli spiriti trattenuti negli inferi...” (3,18-20). Così al ladrone condannato insieme a Lui dice “Oggi stesso tu sarai con me in Paradiso” (Luca 23, 42-43). Gesù risorge il terzo giorno dalla sua morte, ma diverso da come era prima, tanto che non viene riconosciuto dagli stessi discepoli e dalle discepole che erano stati con lui per diverso tempo. Nel Nuovo Testamento è chiaro il messaggio che con la morte la persona finisce, ma questa fine non è definitiva. La persona muore realmente e completamente, ma altrettanto realmente rivivrà.
Vi è una terza ipotesi.È l’ipotesi più accreditata dalle religioni e dalla filosofia, anche se con sfumature e concetti diversi. Molti concordano nell’affermare che quando si muore finisce solo il corpo, la parte materiale della persona, mentre la sua componente immateriale (spirito, anima, mente, coscienza, io, ecc.) sopravvive alla morte essendo per sua natura immortale. È certamente l’ipotesi più affascinante ed è quella che perfino l’uomo contemporaneo potrebbe accettare. Chiamiamo per convenzione questa componente immortale “anima”, senza conferire al termine un significato religioso. Ad eccezione di Epicuro e degli stoici, tutta la filosofia antica, occidentale e orientale, da Pitagora a Platone ed oltre, l’anima proverrebbe da un mondo divino, un mondo “altro” da quello terreno e qui vi soggiorna come straniera e prigioniera nella materia. Nostalgica del mondo divino l’anima vorrebbe distogliere il corpo dai suoi bassi istinti ed orientarlo verso realtà elevate: artistiche, razionali, spirituali. Dall’ àtmandegli indù e dei buddisti al nous(νοῦς) dei filosofi greci, il compito della componente immateriale sarebbe quello di sospingere l’essere umano verso la conoscenza della verità, senza fermarsi alle apparenze. Con la morte avviene il distacco dal corpo e il ritorno al mondo divino. Questa parte immateriale, però, può soccombere alle lusinghe della materia, del corpo e delle sue passioni. In questo caso perderebbe la possibilità di risalire al mondo divino quando lascia il corpo. In questa ipotesi la morte è quindi una liberazione per l’anima, mentre il corpo si disfa totalmente.
Una domanda però è doveroso porci. Il concetto di immortalità dell’anima è una dottrina cristiana?
No!
Tale opinione, per quanto sia diffusa e accettata come ovvia nel cristianesimo è uno dei più gravi fraintendimenti riguardanti il cristianesimo stesso!
Nei primi secoli del cristianesimo c’è stato un dibattito su tale tema. All’inizio c’è stato il rifiuto o comunque una certa resistenza a Platone e al platonismo, ma successivamente, ancora in epoca tardoantica è avvenuta una lenta cristianizzazione dell’idea platonica sull’immortalità dell’anima, agevolata dal racconto biblico della creazione dell’uomo in cui Dio soffiò un “alito vitale” nelle narici dell’uomo (Genesi 2,7). Il fraintendimento della cultura ebraica e del suo testo biblico (che parlava di dare vita e non di immettere un’anima) con il passaggio alla concezione platonica del cristianesimo diffusosi in area culturale greca ha lasciato in eredità una dottrina che con l’insegnamento di Gesù non ha nulla a che fare.
Non dobbiamo concentrarci sulle scappatoie per placare la nostra paura della morte, ma puntare su ciò che accogliamo della Scrittura. L’apostolo Paolo afferma qualcosa di molto importante per orientare la comunità cristiana su un corretto atteggiamento nei confronti della morte. Egli scrive nella Lettera ai Romani (Rm 8,38-39):
“Io sono sicuro che né morte né vita, né angeli né altre autorità o potenze celesti, né il presente né l’avvenire, né forze del cielo né forze della terra, niente e nessuno ci potrà strappare da quell’amore che Dio ci ha rivelato in Cristo Gesù, nostro Signore”
Questa convinzione domina tutto il Nuovo Testamento. Ritornare all’idea dell’immortale dell’anima è anch’essa una scappatoia. «Una presunta concezione dell’immortalità dell’anima è un’idea tipicamente ispirata dalla paura», scriveva Karl Barth (Kirchlische Dogmatik III/4, p. 677). Una seconda scappatoia è il rifiuto di ritenere la propria morte come se non dovesse mai accadere. Il famoso “carpe diem” di Orazio. Cogli di giorno in giorno quello che di bello e di buono la vita ti offre. Goditi la vita finché puoi. Una terza scappatoia per affrontare la morte è che essa riguarda il singolo individuo, ma non l’insieme di cui esso fa parte, immaginando uno dei grandi organismi collettivi che si formano nella Natura, nel Cosmo e nella Storia. Come quando cadono le foglie in autunno. Si seccano, si staccano dall’albero che dava loro la vita, cadono sul terreno, ma lì diventano concime nutrendo così lo stesso albero dal quale sono cadute e ritornando nella sua linfa e nel ciclo vitale sotto altra forma; e se anche l’albero dovesse morire anch’esso s’immetterà in un'altra forma di vita, nell’ampio quadro della vita dell’Universo, come le stelle e le galassie che muoiono e nascono in una Natura in cui nulla si distrugge ma tutto si trasforma.
Affascinante!
Seduttivo!
Questo discorso ha indubbiamente il suo valore, ma non tiene conto del valore in sé della vita dell’individuo. Che la specie umana sopravviva, non si sa pe quanto, all’individuo non è di alcun conforto per chi piange la morte di una persona cara. Nessun individuo è sostituibile con la nascita di un altro e il posto di chi muore resta vuoto per sempre! Non si può dire neppure che l‘individuo sopravvive nella specie, perché in realtà la specie sopravvive senza quell’individuo che non c’è più. In questa concezione di quanto può succedere alla fine della vita, con la morte di una persona non finisce tutto, ma finisce tutto di quella persona. Questa ipotesi lascia una domanda: che senso ha allora la vita? L’utilità di un bagliore nella notte che possa aiutare chi è nel buio di avere luce per un momento e di fare qualche passo?
C’è poi il tema della reincarnazione. Cosa pensare da un punto di vista cristiano?
Certamente ci sono degli aspetti positivi da sottolineare. Il primo è l’affermazione che la vita non finisce con la morte, ma la vita continua in un altro individuo, non necessariamente un essere umano. Muore Carlo V, ma non muore il re, muore papa Woityla, ma non muore il papa, Carlo V o papa Woizyla, nella concezione della reincarnazione, rinasceranno un contadino o un maraja o un cagnolino, a seconda del karma, del comportamento nella vita precedente. È positivo in questa dottrina la responsabilità etica della persona e che la vita è una sorta di scuola in cui, attraverso le varie esperienze, ci si può migliorare di vita in vita.
Ma rispetto alla fede cristiana ci sono differenze profonde.
Innanzitutto sulla natura dell’anima che nella dottrina della reincarnazione è eterna e proviene da una dimensione divina, mentre nel cristianesimo la morte materiale e spirituale dell’essere umano nascono, vivono e muoiono insieme e inseparabilmente. Nella concezione della reincarnazione il corpo viene distrutto, per il cristianesimo invece sarà risuscitato. Mentre nella dottrina della reincarnazione ogni individuo salva se stesso o si condanna attraverso il suo comportamento, nel cristianesimo tra la caduta e il riscatto dell’essere umano, della sua anima e del suo corpo, c’è la persona di Gesù Cristo, che ha il potere di salvare la persona anche se il suo comportamento non è stato lineare, come il ladrone sulla croce o la Maddalena.
...
Il tutto il Nuovo Testamento c’è un invito chiaro a non temere la morte, a non avere paura di morire né avere angoscia per coloro che ci sono cari e sempre cari ci saranno, ma che non ci sono più.
È Dio che dobbiamo temere... e Lui solo!
Sul confine tra la vita e la morte, lì dove l’essere umano soccombe e la sua vita terrena finisce, lì Dio gli viene incontro e lo soccorre, quel Dio che lo ha chiamato all’esistenza e alla fede.
La nostra morte è il nostro limite, ma Dio è il limite della morte. Per quanto potente e ineluttabile sia la morte, essa non ha abbastanza forza e potere per riuscire a separare il credente da Cristo, come afferma l’apostolo Paolo e come afferma Gesù stesso nel Vangelo di Giovanni quando dice: “Chi crede in me, anche se muore, vivrà e chiunque vive e crede in me, non morrà mai!” (Gv 11,25s), nel senso che la morte pur giungendo a porre fine alla vita non riuscirà a strappare quella vita dalle mani del Cristo che la riconsegnerà al Padre, al Dio da cui ogni vita ha avuto origine.
Questa è la convinzione comune a tutti gli autori del Nuovo Testamento, che rende sostanzialmente unitaria la loro risposta alla domanda “che cosa succede quando si muore?”. La risposta è che la morte separa da tutto e da tutti tranne che da Cristo.
Questo conta!
Se poi ci sia uno stadio intermedio tra la perdita del corpo materiale e il rivestimento di un corpo spirituale, adatto alla dimensione altra in cui la vita sarà riposta per continuare o se ciò avvenga allo stesso istante della morte, perché la barriera del tempo è solo nella dimensione spazio-temporale e non in quella divina, questo non lo sappiamo, ma poco importa. Lutero diceva che l’anima che si addormenta in Cristo è come il bambino posto dalla madre nella culla, perché sia in pace fino al risveglio. Se il sonno sia visto dal tempo umano, quindi lungo, o dalla mancanza di tempo, che non c’è in Dio, e quindi istantaneo, poco importa. È lo stesso individuo che muore che rivestirà nuova esistenza se ha confidato in Cristo o se Dio ha confidato in lui, perché l’amore di Dio è più grande dello stesso cristianesimo e ha un concetto di fede molto più ampio di quello che abbiamo noi!
La nostra percezione terrena del tempo non vale nell’aldilà dove il tempo è eternità e tutto accade in una sorta di istante eterno, il famoso “nunc stans”, l’adesso sempre presente. Davanti a Dio tutto accade simultaneamente, insieme e contempora-neamente varcheremo la soglia della vita ancora insieme con coloro che abbiamo pianto e ci riconosceremo e ci riabbracceremo.
...
Ma cosa accadrà di coloro che vivono e muoiono senza la fede in Cristo?
Il Nuovo Testamento e tutta la Bibbia è chiara e univoca: c’è una redenzione, ma anche un giudizio, c’è una via della salvezza, ma anche una via di perdizione. Che ne sarà allora dei cosiddetti non-credenti?
La risposta a questa domanda è assai meno ovvia di quello che si potrebbe supporre. Innanzitutto il giudizio sarà dato da Dio non da noi. Forse è come la lettura di un testamento, in cui non sono i figli che stabiliscono cosa tocchi all’uno e cosa all’altro. I genitori conoscono la forza di uno e la debolezza dell’altro, le possibilità di farcela e le difficoltà di arrancare diversamente distribuite nei figli, per cui non possono dare a tutti nella stessa misura. Non avventuriamoci allora in previsioni su come andrà il giudizio finale, su chi sarà condannato e chi sarà salvato, perché ci si deve preparare a molte sorprese. Ricordiamo della parabole degli operai delle diverse ore, delle parole di Gesù, quando dice che “molti verranno da Oriente e da Occidente e si siederanno a tavola con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli” e che “molti primi saranno ultimi e molti ultimi saranno primi”, cioè molti giudizi saranno capovolti. A me piace ricordare la parabola dei due figli a cui il padre dice di andare a lavorare nella vigna, uno risponde “sì” e non andò, l’altro rispose “no”, ma poi vi andò. Dio potrà dire “sì” a chi Gli ha detto “no”.
...
Alla domanda “cosa accadrà dopo la morte” non c’è una risposta certa, ma una risposta di fede e dal cuore della fede non può essere tolto il dubbio, senza il quale la stessa fede non potrebbe sussistere.
Quando l’apostolo Paolo nel capitolo 15 della Prima Lettera ai Corinzi parla della risurrezione ne parla come di un mistero, davanti al quale è lecito dubitare, ovviamente. Paolo però parla di un mistero “rivelato”. C’è una grande differenza tra un mistero qualsiasi e un mistero rivelato. Un mistero è un punto oscuro, un mistero rivelato è un punto luminoso: la risurrezione è un mistero rivelato. Mentre davanti a un mistero che resta un enigma si può dubitare, davanti a un mistero che diventa rivelazione, cioè luce, si può credere.
Pastore Giuseppe La Torre
Vacallo, 25 novembre 2018